
Ho partecipato a due sole lezioni di Iai-jutsu e Ken-jutsu e posso onestamente affermare di essere (felicemente!) un principiante.
Che bella sensazione, durante la seconda lezione col Maestro Sandro Savoldelli, noto esperto delle discipline Bugei! Che emozione, che gioia ho provato nel sapere di non sapere!
So poco, quasi nulla, di come si colpisce col bokken, come si può sfruttare al meglio la potenza esplosiva usando l’hara, il centro vitale dell’uomo situato nell’addome.
So poco, quasi nulla, di come si affronta concretamente e strategicamente un combattimento con la spada di legno, figuriamoci con uno iaito o un katana.
Che bello tornare cintura bianca e apprendere sin dall’inizio una disciplina marziale, svuotando la famosa “tazza” piena di preconcetti, esperienze, interpretazioni personali di un mondo tanto vasto quanto affascinante. Lo Iaido è una disciplina che adoro, però mi è sempre mancata quella componente “guerriera” fatta di scontro, adrenalina, tensione, palpabile timore di colpire o essere colpiti. E nel momento in cui una carissima amica, studentessa come me nel ken-jutsu, mi ha colpito accidentalmente sulla prima nocca del dito indice… qualcosa di consapevole si è risvegliato in me!
Lo sai cosa?
La mia componente “jutsu”, da alcuni anni sepolta dopo aver accantonato il percorso come istruttore di antiaggressione, quel desiderio ardente di imparare a difendermi sprigionatosi oltre 20 anni fa con l’inizio del Karate. La mia indole combattiva, da marzialista pacifico quale sono ora, sembrava esser svanita… poi un mite fuoco si è acceso nel mio spirito da samurai moderno, per dare probabilmente inizio a una nuova fase del mio percorso, del mio “do”.
Dopo la prima lezione di fine settembre, in cui mi sentivo spaesato per via delle differenze concettuali, passando dal “do” al “jutsu”, lette solo sui libri o per trasmissione orale, sono stato catapultato più per scelta che per imposizione in un mondo ancora più lontano nel tempo, più sincero se permetti il termine, che senza troppi fronzoli artistici ti sbatte in faccia la realtà del combattere. Combatti o muori sarebbe stato ai tempi dei samurai… ora tradotto combatti (e ti svegli) o ti prendi una randellata sulle nocche (nella migliore delle ipotesi).
Heiho (via della strategia) non è aria fritta e belle parole prese dai libri (su tutti il “gorin no sho” di Miyamoto Musashi, che lo tratta ampiamente), heiho va vissuto e sentito sul campo. Non siamo in battaglia ma in un dojo per imparare, sbagliare e migliorare, correre i dovuti rischi e sudare, soprattutto a livello mentale.
Grazie Sandro Savoldelli Sensei per questa possibilità che mi hai concesso, frutto della tua esperienza e capacità di trasmettere qualcosa di complesso in forma semplice, in chiave morbidamente dura qualcosa di antico che per me significa molto… e credo darà sempre più significato al mio essere “jutsu” lungo il mio “do”.

Stefano

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